Il “cigno nero” che contagia un sistema già debole
La diffusione dei dati definitivi dell’Istat relativi al quarto trimestre 2019 giunge in pieno “contagio” economico da Covid-19.
Il quadro proposto – fermo al periodo antecedente al Coronavirus – è quello di un’economia in sofferenza, ultima per crescita in Europa, non solo incapace di recuperare i livelli pre-crisi ma a lungo in stagnazione, ora nuovamente a rischio recessione. I dati freschi di pubblicazione confermano infatti la riduzione dello 0,3% del PIL nel quarto trimestre, il peggior calo congiunturale dal primo trimestre 2013. Debole, in particolare, la domanda interna, principale motore di crescita negli scorsi anni: negative le variazioni congiunturali per tutti i suoi principali aggregati, dello 0,2% per i consumi finali nazionali e dello 0,1% per gli investimenti fissi lordi. In merito alla spesa delle famiglie, in questo periodo di incertezza calano in particolare i beni durevoli (-0,8%) e semidurevoli (-3,8%), considerati consumi non essenziali.
D’altronde, numerosi erano stati i segnali premonitori. La produzione industriale (che contribuisce per circa il 20% del PIL) ha registrato un incremento solo nel primo trimestre del 2019 mentre nei successivi ha mostrato continue flessioni, con un calo più marcato negli ultimi tre mesi. Dopo aver beneficiato ad inizio anno dei pur limitati effetti delle misure intraprese dal governo, dalle politiche sul lavoro al reddito di cittadinanza, a partire dall’estate anche il mercato del lavoro sembra essersi fermato; preoccupante in particolare l’incremento degli inattivi, “scoraggiati” dalla bassa probabilità di trovar occupazione. A pesare sull’economia contribuisce, più in generale, il deciso calo della fiducia delle famiglie, che limitano di conseguenza i consumi alimentando i risparmi; analogamente, bassa è l’aspettativa delle aziende nei confronti di una ripresa duratura, così da frenare gli investimenti.
Tale scenario economico, già allarmante, è ora aggravato dalla diffusione sul territorio nazionale del Coronavirus. Difficile oggi prevedere il reale impatto di questo “cigno nero” sul sistema economico nazionale e globale: dipenderà dall’espansione del contagio, dalla sua durata e dalle misure per contenerlo. Stante le prime stime a disposizione, il tributo che l’Italia pagherà sarà comunque piuttosto pesante. Secondo Ref Ricerche l’impatto sul PIL italiano sarà tra il -1% e il -3% nei primi due trimestri del 2020. Nell’aggiornare le sue previsioni di novembre, l’OCSE ha tagliato di 4 punti decimali le già fievoli stime di incremento del PIL italiano per il 2020: per l’anno in corso l’istituto internazionale prevede crescita zero. Ben più negative l’agenzia di rating S&P e la banca d’affari Goldman Sachs: entrambe pronosticano per quest’anno la recessione, la prima con una contrazione dello 0,3%, la seconda con un decremento complessivo dello 0,8%.
Se caliamo tali previsioni sui consumi, la prospettiva risulta ancora più preoccupante. Negli ultimi due anni si è già assistito ad un rallentamento della dinamica espansiva post-crisi della spesa degli Italiani: l’incremento era stato pari a +1,5% nel 2017, calato a +0,9% nel 2018 e contrattosi ulteriormente sino ad un fiacco +0,4% nel 2019. Con la diffusione del Coronavirus, i consumi interni non possono che subire un ulteriore contraccolpo. I sintomi sono già evidenti: ristoranti e bar risultano vuoti, le attività culturali e ricreative sono ferme, manifestazioni e fiere rimandate, il turismo in completo affanno, i negozi decisamente meno frequentati, con particolare riguardo per le grandi superfici non alimentari. Questo arretramento dei consumi, che potrebbero addirittura mostrare un segno meno, produrrà impatti negativi sul commercio, mettendo in ginocchio numerose imprese, non solo di piccole dimensioni, che reagiranno bloccando gli investimenti e agendo su ogni altra leva gestionale, compresa quella occupazionale. Vi è infine un ulteriore elemento da considerare: la – ad oggi – maggior diffusione del virus sul territorio italiano rispetto agli altri paesi sviluppati fa prospettare tempi duri per il Made in Italy, già oggetto di penalizzazioni a causa delle imitazioni e dei dazi. Occorre fin da ora un imponente piano di comunicazione a tutela delle nostre produzioni, affinché non subiscano ingiustificate discriminazioni. Si renderà inoltre necessario “ricostruire” il più velocemente possibile la reputazione del prodotto italiano all’estero, anche supportando e sostenendo con incentivi le imprese più orientate all’export: una drastica riduzione delle esportazioni avrebbe infatti impatti su tutte le filiere produttive con conseguenze anche sui mercati nazionali, costituendo un ulteriore rischio per la tenuta economica e occupazionale del già sofferente Sistema Italia.
Lo scenario prospettato appare molto serio. Occorre in primo luogo varare provvedimenti che consentano alle aziende di salvaguardare i livelli occupazionali attraverso ammortizzatori sociali con procedure di accesso semplificate e che riguardino tutti i settori economici. Necessarie inoltre norme che permettano alle imprese di adeguare la loro struttura dei costi ai mancati fatturati. Nel medio periodo riteniamo indispensabile individuare ed attuare azioni che alimentino in modo deciso la domanda, al fine di sorreggere il sistema nel periodo di emergenza e rilanciare quindi una crescita sistematica e duratura di investimenti e consumi. E’ necessario da un lato favorire le famiglie, aumentando il loro potere d’acquisto e dall’altro fornire maggiori certezze e prospettive di reale competitività alle aziende – in particolare a quelle più colpite dalla crisi da Covid-19 – affinché ritornino ad investire.